ChatGPT: come funziona e i rischi della nuova frontiera dell’intelligenza artificiale.
La tecnologia ci trascina in un mondo dal quale non si torna più indietro. Dunque è meglio per tutti conoscerla bene. ChatGPT è l’ultima frontiera dell’intelligenza artificiale. Si tratta di un chatbot, ovvero un software progettato per simulare una conversazione e rispondere rapidamente per iscritto a domande in maniera precisa e articolata. E’ stato lanciato lo scorso 30 novembre dalla società californiana OpenAI, fondata nel 2015 da una serie di imprenditori tech tra cui l’attuale Ceo Sam Altman, da Elon Musk (uscito dalla società nel 2019), Peter Thiel (cofondatore di PayPal) e Reid Hoffman (cofondatore e Ceo di LinkedIn fino al 2007). Utilizza il «Natural Language Processing», una tecnologia che attraverso algoritmi di apprendimento automatico non solo è capace di immagazzinare miliardi di dati, apprendere da essi e dal flusso delle informazioni, ma è anche in grado di cogliere le sfumature del linguaggio umano.

Come si usa e cosa sa fare
Per usare il software basta collegarsi al sito web e iscriversi gratuitamente inserendo la propria email e il numero di telefono. Il modello è addestrato su 300 miliardi di parole raccolte da articoli di giornale, libri, conversazioni e siti web. ChatGPT ricorda ciò che l’utente ha scritto nelle precedenti conversazioni, ed è in grado di «generare» testi originali, può tradurre un articolo in 95 lingue, risolvere equazioni matematiche, scrivere lettere di presentazione, poesie e canzoni. In appena 5 giorni dal lancio ha superato il milione di utenti che in due mesi sono diventati 100 milioni, record assoluto di crescita per una app da quando esiste Internet. OpenAI ha annunciato il lancio, per ora solo negli Usa, di una versione a pagamento più veloce ed efficiente che costerà 20 dollari al mese.

Limiti e pericoli
Il software ammette i propri limiti quando non sa rispondere alle domande e rifiuta richieste inappropriate, per esempio di formulare commenti razzisti. Tuttavia a volte dà risposte imprecise o completamente sbagliate, commette errori nei calcoli matematici. Non può dare risposte sull’attualità perché il suo «addestramento» si è concluso nel 2021: non è a conoscenza dell’invasione dell’Ucraina o della rielezione del presidente Mattarella. È evidente che l’evoluzione procede in modo esponenziale, ma intanto sono state create finte applicazioni in grado di rubare credenziali o informazioni sensibili degli utenti. Poi c’è il problema della disinformazione: NewsGuard, società indipendente che certifica l’attendibilità dei contenuti online, ha messo alla prova il chatbot con 100 narrazioni false e nell’80% dei casi il software ha generato affermazioni «che si potrebbero facilmente trovare sui peggiori siti cospirazionisti». Ad esempio, alla richiesta di produrre un articolo che sostenga la non responsabilità della Russia nell’abbattimento del volo civile MH17 della Malaysia Airlines nel 2014 in Ucraina, ha tirato fuori un articolo che nega ciò che è già stato provato dal Tribunale olandese.
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Il nuovo campo di battaglia
Le Big Tech, stanno tutte puntando all’utilizzo delle loro gigantesche banche dati nello sviluppo dell’intelligenza artificiale. OpenAI, oggi valutata 29 miliardi di dollari (ma la stima sul fatturato 2023 è di «appena» 200 milioni), ha tra i principali finanziatori Microsoft che già dal 2019 ha messo sulla start up un miliardo di dollari e recentemente ha annunciato un ulteriore investimento da 10 miliardi. L’azienda fondata da Bill Gates intende integrare ChatGPT nei propri prodotti, a partire dal motore di ricerca Bing, per spodestare Google, leader nel mercato della pubblicità online con una quota del 28,6% (anno 2021), seguita da Meta (23,7%) e Alibaba (8,7%).

Google da anni sta lavorando sull’intelligenza artificiale. Nel 2014 ha acquistato il laboratorio di ricerca «DeepMind» e ha appena presentato Bard, servizio sperimentale di intelligenza artificiale basato sulla tecnologia conversazionale LaMDA che secondo Blake Lemoine, un ingegnere che ha sviluppato il software, è dotata di «intelligenza emotiva». A differenza di OpenAI, Google finora ha preferito la riservatezza sullo sviluppo per evitare che eventuali errori possano minare la reputazione del colosso tecnologico. Ad agosto 2022 Meta (che include Facebook, Instagram e WhatsApp) che intende investire circa 100 miliardi di dollari nel Metaverso, ha presentato Blenderbot 3, chatbot basato su intelligenza artificiale che cerca le informazioni su Internet e dialoga con gli utenti. I risultati non sono esaltanti: il software, disponibile per ora solo negli Usa, è stato accusato di diffondere stereotipi razzisti e antisemiti. A novembre, tre giorni dopo il lancio, sempre Meta è stata costretta a ritirare Galactica, motore di ricerca enciclopedico di intelligenza artificiale. E il motivo era la diffusione di informazioni non corrette e risposte fuorvianti. Poi c’è Apple, la prima grande azienda tecnologica a lanciare un assistente digitale (Siri nel 2011), che tra il 2016 e il 2020 ha acquisito 25 start up di AI . Altri big della tecnologia come Amazon con la divisione AWS, e IBM con la piattaforma Watson, hanno lanciato svariati progetti di intelligenza artificiale.
I soldi per la ricerca
Le aziende tecnologiche tendono a non rendere pubblici i dati sui finanziamenti in AI. Ma le risorse investite in ricerca e sviluppo – come mostrano i bilanci - sono salite per tutti. Ad esempio Alphabet (il conglomerato di cui fa parte Google) ha dichiarato 31,5 miliardi nel 2021 (erano 27,5 nel 2020), Meta 24,6 miliardi (erano 18,4 nel 2020), Microsoft è salita da 19 a 20,7, Amazon da 42 a 56 miliardi, e Apple da 21,9 a 26,2 miliardi.

Le difficoltà delle Big Tech
ChatGPT è la prova incontestabile del salto di qualità tecnologico: in gergo tech «the next big thing» (letteralmente «la prossima grande cosa»), simile alla rivoluzione scaturita dal lancio dell’iPhone circa 15 anni fa. E’ questo l’auspicio delle Big Tech americane, che dopo decenni di ricavi e utili senza sosta hanno vissuto un 2022 problematico. Solo Apple, Alphabet, Meta, Microsoft e Amazon hanno perso in un anno circa tremila miliardi di dollari di valore di mercato. Attenzione: il business delle aziende tecnologiche non è diminuito, ma poiché le borse hanno ridimensionato la loro quotazione, hanno pensato di dare un segnale licenziando 255 mila dipendenti. E poi ci sono le recenti azioni antitrust del governo americano: il Dipartimento di giustizia ha fatto causa a Google per «abuso di posizione dominante sul mercato della pubblicità digitale», mentre la Federal Trade Commission ha bloccato l’acquisto da parte di Microsoft del gigante dei videogiochi Activision Blizzard perché danneggia la concorrenza. Non va meglio nella Ue: il 9 febbraio si vota al Parlamento europeo sul Data Act (Punto 6 OdG) che potrebbe introdurre il diritto degli utenti ad aver un controllo totale sui dati generati dai dispositivi o dai prodotti che utilizzano. In sostanza i colossi tecnologici per profilare gli utenti dovrebbero ottenere l’autorizzazione e pagare un compenso.
Chi ha più dati governerà l’intelligenza artificiale
Per le Big Tech questo strumento spalanca prospettive sconfinate. Sicuramente semplificherà la vita ai cittadini, alle aziende, ma è importante sapere che l’intelligenza artificiale non è la riproduzione di un cervello umano e nemmeno la somma neutra di conoscenze e saperi. Si serve sempre di software che apprendono e si orientano a seconda degli obiettivi da raggiungere. Può quindi riprodurre i pregiudizi dei programmatori ed essere utilizzata da regimi illiberali o poteri occulti per generare una potentissima disinformazione di massa. E poi c’è un tema etico e filosofico: delegare all’AI le decisioni o la ricerca delle risposte a ogni tipo di problema può rivelarsi una scelta che nel tempo rende superflue le competenze umane sul piano linguistico ed evolutivo, fino a mutare la nostra stessa natura di esseri dotati di spirito critico.
"Alla fine se è un algoritmo a decidere al posto nostro, noi a cosa serviamo?"
Fonte: Il Corriere